
Si avvicina la Pasqua, si avvicina la primavera. Bella notizia. Ma si
avvicina anche l’incubo delle pulizie stagionali.
Voi lo sapete perché si chiamano “pulizie di Pasqua”?
La Pasqua cristiana, pur avendo
mutato gli originali significati in altri di tipo cristologico, deriva da - o
sarebbe meglio dire si instaura su - la Pasqua
ebraica, la Pesach, una festività
ebraica che ricorda l'esodo e la liberazione del popolo israelita dall'Egitto.
Il termine significa infatti passaggio, transito, del popolo ebraico quindi,
ma al tempo stesso anche quello dai mesi invernali a quelli primaverili, dalla
apparente morte della terra alla sua “resurrezione”. Riti di passaggio che celebrano la primavera sono presenti infatti in tutte le culture del bacino mediterraneo, ma anche in quelle dei popoli del Nord. Basti pensare che nelle lingue nordiche la Pasqua si chiama Oaster o Easter, termini che derivano dal nome della dea della primavera (Ostara o Eostre), in onore della quale, in corrispondenza dell'equinozio di primavera, gli antichi Teutoni e i Celti della Gallia, della Britannia e dell'Europa Centrale tributavano sacrifici e celebravano riti.
Per tornare agli ebrei, la celebrazione della Pasqua prevede l’obbligo di eliminare da casa ogni minima traccia di
lievito (e di polvere). Un vero e proprio rito di purificazione della casa e del corpo e, attraverso il corpo,
dell’anima. “Spaceclearing”*, insomma. Molto prima dell’avvento di
psicoterapeuti e life coach, già si sapeva cosa bisognava fare: pulire, togliere
di mezzo il vecchio, arieggiare, aprire le finestre, le braccia e il cuore alle
cose nuove.
Ecco. Vi rendete conto di quante cose mi racconto per motivarmi a fare le
pulizie?
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* “Purificazione dello spazio” e
attraverso di essa dello spirito, disciplina di derivazione statunitense - nata
da una costola del Feng Shui -- che insegna ad eliminare il superfluo e a
recuperare l’essenziale: vuotare i
cassetti e risistemare casa diventa un’operazione catartica, che può cambiare
in meglio la propria vita.
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