Non tutte le valli son di lacrime.



Il paese dove ci trasferiamo in estate, che poi è il posto dove si sono conosciuti i miei genitori, è un sottile lembo di terra, completamente ricoperto di pineta, stretto fra il mare e la valle.
La nostra valle, che comincia qui e prosegue ininterrotta fino a diventare la laguna di Venezia, si chiama Pialassa.
Il termine è dialettale, pare derivi da pia e lassa, cioè prende e lascia: la valle è fatta di acqua salmastra che prende e rende acqua al mare, regolata dalle maree.



È un posto suggestivo, soprattutto al tramonto, e ha un indiscusso valore naturalistico, ma anche storico: qui si rifugiò Garibaldi durante la sua fuga (c'è anche il suo capanno, visitabile) e pochi chilometri più a nord è morta Anita.



Durante la seconda guerra mondiale era rifugio di partigiani, da qui il partigiano Bulow pianificò la liberazione di Ravenna. Fra i suoi uomini c'era anche mio nonno.

Quando ero bambina, mio nonno, vedovo da tanti anni, stava nella casa del mare con noi. Spesso all'alba o al tramonto andava in valle, con la sua macchina fotografica, e scattava foto spettacolari. Ne aveva tappezzato tutto l'appartamento. Sono ancora lì, sbiadite, la maggior parte in bianco e nero. Mio nonno cercava la luce, evidentemente, più che i colori.
Qualche volta mi portava con sé. Solo io e lui, la valle, il click della Canon, canti di uccelli e tanto, tanto, tanto silenzio. Non mi ha mai raccontato nulla della guerra, ho saputo dopo.






Ancora adesso io non posso fare a meno di andare. A volte correre, quando vedo che il sole sta per tramontare. O dopo che ha piovuto e il cielo è ancora un po' corrucciato. A cercare quei silenzi, il sole che si specchia in un mare cieco, alto 3 dita, ma che custodisce abissi.


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